DI COSA PARLA IL LIBRO

Gabriele e Giuseppe fanno parte della banda degli otto, che “agisce” nel cortile di un palazzo di edilizia popolare in un paese sito alle porte di una grande città. A dispetto delle dimensioni, lo spazio si rivela un mondo pulsante dove fioriscono i comportamenti tipici di ogni consesso umano: l’amicizia, le liti, le alleanze, le tensioni, la solidarietà e i disaccordi. Ma soprattutto lo spirito di appartenenza al gruppo che, come primo effetto, scatena un estenuante e irrisolvibile conflitto con i vicini di cortile di cortile. Attorno agli otto ruota un bizzarro universo ricco di personaggi, storie, ambienti, che induce il lettore a pensare di averne fatto parte, o a provare rammarico per non averlo frequentato. Gabriele e Giuseppe si perdono di vista alle soglie dell’adolescenza. Si rincontrano, adulti, dopo percorsi di vita molto diversi. Nello scenario della grande città distratta e frettolosa, lontana anni luce dalla civiltà del cortile, hanno a disposizione un solo giorno per recuperare frammenti del loro passato, ma soprattutto per chiarire un episodio tragico che li aveva visti protagonisti da ragazzi e che era rimasto in sospeso per troppo tempo.

LO SCENARIO

Cortili di case popolari e l’oratorio ( foto1 ) sono i luoghi descritti nel romanzo. I giochi che provocano regolarmente risse e alterchi erano praticati con le figurine dei calciatori (foto2 ) e con le biglie (foto3).
Il paese descritto è Gorgonzola in provincia di Milano

PERSONAGGI

La maggior parte dei personaggi che compaiono nel romanzo sono ispirati a persone realmente esistite. A un certo punto della narrazione compare anche Fratel Ettore Boschini, camilliano, molto noto a Milano per la sua opera a favore dei diseredati. Già dai primi anni settanta aveva iniziato a ricoverare presso la clinica San Camillo i barboni e gli emarginati che lui stesso raccoglieva per le strade della città. Agli inizi degli anni 80 attrezzò una struttura ricettiva in un tunnel della stazione ferroviaria, luogo diventato un rifugio per ogni genere di emarginati. Fratel Ettore continuò la sua opera sino alla fine dei suoi giorni, avvenuta nel 2004.

COME INIZIA IL LIBRO

Il moscone si allontanò. Tornò indietro ronzando. Giuseppe alzò la mano per scacciarlo. Gabriele gli bloccò il braccio con mossa rapida.
“Stai fermo, altrimenti si accorge di noi” disse a bassa voce, portando il dito alle labbra. Giuseppe riprese la posizione di prima, limitandosi a scostare l’erba che gli copriva la visuale. Il caldo del primo pomeriggio rendeva l’ aria densa e appiccicosa. Attorno il rumoreggiare di cicale e canti di uccelli. L’ eco lontana di un trattore.
I ragazzi, le magliette incollate al corpo per il sudore, osservavano un ciliegio a poca distanza dal fossato in secca dove si erano accovacciati. L’ albero, dal tronco enorme e i rami carichi di frutti, segnava il limitare del podere di un anziano contadino, Clelio Mantegazza all’ anagrafe, ma da sempre conosciuto come Crapùn. Costui possedeva entrambe le caratteristiche del soprannome: una grande testa e l’ottusità mentale. Il collo, largo e corto, si innestava su un corpo sgraziato per via del ventre sporgente che tracimava dalla cinta dei pantaloni. Vestiva sempre di scuro e riparava il cranio, appena velato da una sorta di peluria grigia, con un cappello di panno grezzo, lo stesso in ogni periodo dell’ anno.
Il Crapùn era un tizio dai modi bruschi, ruvido e scorbutico con tutti; ma nutriva un particolare malanimo nei confronti dei ragazzi. A suo dire erano più dannosi della tignola e della bacola che distruggevano gli ortaggi. Era vedovo e non aveva figli, e questo accresceva probabilmente l’ insofferenza verso tutti i giovani abitanti della zona; però il nemico giurato era la banda degli otto, alla quale appartenevano Giuseppe e Gabriele. 
Dalla primavera al tardo autunno il Crapùn doveva vigilare per arginare le scorribande degli incursori che si impegnavano a saccheggiare, a seconda dei periodi, pere, mele, more, albicocche, ciliege, susine, uva.

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