Un intero popolo, avendone più o meno consapevolezza, ha sacrificato energie, risorse, speranze e qualità della vita a favore di un gruppo di potere affaristico – finanziario – politico che da un quarto di secolo domina e governa l’Italia, sino a diventarne servo e schiavo, incapace non solo di reagire, ma persino di capire cosa sia accaduto.
Ciò è stato possibile per una serie concomitante di fattori, uno su tutti, fondamentale per chi gestisce il potere, la non conoscenza di fatti e misfatti da parte dei cittadini. Quasi tutti gli Italiani con meno di quarant’anni non hanno la più pallida idea di come sia stato gestito il Paese dove vivono, da quali personaggi, con quali metodi e, soprattutto, con quali effetti sulla vita che conducono. Chi ha un’età superiore ha un vago ricordo, ma spesso non è in grado di ricostruire gli avvenimenti, poiché l’opera di rimozione provocata da raffinate tecniche di comunicazione è stata continua ed efficace.
Coloro che hanno gestito le politiche industriali, finanziarie e politiche italiane appartengono a una ristretta cerchia di persone tutt’ora in circolazione e ancora in grado di condizionare l’andamento della vita pubblica, direttamente o attraverso loro affiliati che ne hanno ereditato metodi e strategie.
Per ottenere una completa sudditanza della popolazione é stato fatto credere che bisognasse schierarsi politicamente per combattere una crociata del bene contro il male, convincendo ognuna delle due fazioni di essere dalla parte giusta. Una volta ottenuta questa contrapposizione, l’opera di condizionamento è diventata più facile, e qualsiasi nefandezza ha avuto giustificazione con la difesa di non meglio precisati “valori”, di volta in volta accomodati dai potenti a seconda delle circostanze.
Il risultato è stata la spoliazione sistematica della ricchezza del Paese, la dispersione delle risorse, l’arricchimento di pochi gruppi a danno dei cittadini che invece hanno continuato a impoverirsi, la perdita di certezze, la messa a repentaglio delle generazioni future, lo Stato indebitato sino al collasso.
Il potere economico ha avuto bisogno della complicità dei partiti, a loro volta tesi unicamente al mantenimento dei giganteschi privilegi e abili a tenere in vita un perenne, ma fasullo, conflitto ideologico.
La conseguenza è stata il formarsi di una classe politica mediocre, incapace, inefficiente, di bassa qualità culturale e senza etica, astuta però nel promettere per decenni le stesse cose:
abbassamento delle tasse, opere pubbliche faraoniche capaci di mettere in moto l’economia, inesauribile assistenza dello Stato, bassa disoccupazione, alti stipendi, pensioni rivalutate, lotta all’evasione fiscale, rilancio del mezzogiorno, contrasto alla criminalità. Gli italiani non solo vi hanno creduto, mostrando una pervicace vocazione all’autolesionismo, ma hanno continuato a difendere l’indifendibile sistema che, giorno dopo, li ha ridotti a una condizione pietosa. Ma il disastro economico, di per sé micidiale, è stato purtroppo accompagnato da un degrado delle coscienze che avrà bisogno di decenni per essere riparato. Di fatto abbiamo attraversato il medioevo della ragione. Gli effetti sono sotto gli occhi di ogni individuo che, per una volta, abbia voglia di riflettere a mente sgombra da pregiudizi: modesti obiettivi legati per lo più alla chimera di un rapido arricchimento, abbandono della socialità a favore dell’individualità e dell’egoismo, il formarsi di un “io” infantile privo di senso di responsabilità e civismo, sopportazione dell’illegalità, ignoranza diffusa e ostentata, furberie di ogni natura, riemergere di razzismi, scarsa considerazione dello Stato, proteste rabbiose fini a se stesse, aggressività, incapacità a comunicare e dialogare senza ricorrere agli insulti, nessuna voglia di sapere, ripetizione ossessiva di frasi ascoltate durante gli inutili e assordanti dibattiti televisivi, assenza di analisi critica e oggettiva.
Il paradosso più assurdo è che ancora un elevato numero di cittadini é disposto a difendere chi li ha ridotti in questo stato deprimente. Altri sono ormai come inebetiti, abulici, spenti. Eppure i fatti erano di facile lettura, bastava aver voglia di esaminarli con calma e trarne poi le conclusioni, anziché voltare il capo e farsi irretire dalla propaganda.
Una macchina del tempo virtuale ci può aiutare ad avere una visione d’insieme degli avvenimenti e delle persone che negli scorsi decenni hanno creato le premesse dello sconquasso attuale. E osservando l’intero quadro non si può che provare sgomento per la rassegnazione con la quale i cittadini hanno accettato la manipolazione delle loro vite. Se alla fine il lettore pronuncerà la frase “ma come è stato possibile?” significa che questo libro ha raggiunto lo scopo di aver acceso un faro sui fatti.
Quanto alla rinascita di una nazione, forse il tempo è scaduto. O forse no. Ma ciò lo potranno decidere solo gli italiani. Sempre che ormai non abbiano scelto di restare in schiavitù.
PREFAZIONE DI ALBERTO FORCHIELLI
(Presidente osservatorio Asia)
Un’errata opinione comune, alimentata da resoconti giornalistici superficiali, fa risalire al 2008 la crisi economica che ha colpito l’Italia. Con sfrontata ipocrisia, la gran parte dei politici si trincera dietro il fatto che il nostro Paese si è trovato in difficoltà per via di una situazione contingente, a causa di fatti accaduti altrove. Niente di più falso. L’ Italia va alla deriva da almeno un quarto di secolo, lentamente ma inesorabilmente.
Una classe dirigente senza etica, politici incapaci, burocrazia parassitaria, hanno avuto buon gioco nel distruggere le energie e le prospettive di un’intera nazione. Troppi errori per stare al passo col mondo, errori ripetuti e sistematici, a partire dai mancati investimenti nella formazione e nell’istruzione. Quando studiavo ad Harward nei primi anni ’80 già mi rendevo conto che avremmo perso il passo, e così è stato. Ci trinceriamo ancora dietro la cultura, ma noi contemporanei l’abbiamo solo ereditata dai secoli scorsi, non abbiamo aggiunto più nulla, anzi nemmeno sappiamo valorizzarla e farla rendere come potremmo. Siamo un popolo disperatamente attaccato al passato, guadiamo sempre indietro, non vogliamo evolvere, ristrutturiamo ma non costruiamo più nulla. Siamo agli ultimi posti in tutte le classifiche europee quando si valutano aspetti positivi; ai primi se invece si considera la corruzione, la tassazione, l’evasione fiscale; la maggior parte delle infrastrutture è fatiscente, le riforme sono solo di facciata, la scuola versa in uno stato deprimente, i giovani migliori se ne vanno, una sorta di rassegnazione ci confina sempre più a un ruolo marginale. Il cambiamento che l’Italia dovrebbe affrontare è talmente profondo e imponente che quei pochi che ne sono coscienti non hanno il coraggio di evidenziarlo. Solo chi non lo vede può illudersi che la situazione possa migliorare, perché in qualche modo il Paese se la caverà. Il problema è che anche la popolazione è restia a cambiare e a mettersi in gioco, preferendo vivacchiare in attesa di chissà quale salvataggio messianico. Per spiegare ciò che è avvenuto in Italia, Raffaele Mangano ha percorso una strada estremamente semplice ma molto efficace. Senza dilungarsi in analisi socio economiche, ha scelto una serie di fatti e li ha raccontati così come sono avvenuti; l’effetto finale è disarmante e sconfortante. L’autore non trae conclusioni, il lettore stesso è in grado di farlo, soprattutto se riesce a seguire il filo degli eventi senza condizionamenti ideologici o cercando puerili giustificazioni all’ignavia che ha posseduto gli Italiani negli ultimi decenni, di certo corresponsabili del declino della nazione. Schiavi per scelta: nessun titolo poteva sintetizzare meglio quanto è avvenuto.
SOMMARIO
Sme. La farsa dei pomodori
La rottamazione dell’Alfa Romeo
L’abominevole legge Mammì
La guerra per la Mondadori
IMI-SIR. La rapina del millennio
La crociera del Barbarossa
Montedison. La distruzione di ricchezze pubbliche e private
Penne sporche
Telecom. Il saccheggio scellerato
La new economy in salsa italiana
Alitalia. Una storia ingloriosa e vergognosa
Che banche!!!
Conclusioni. Le cifre del disastro